LUI Ma cara, io voglio...
LEI Sopraffarmi, importi, annichilirmi,
mentre dici che m'ami... (siede)
LUI Se tu m'amassi non faresti cosi... (siede)
LEI Ma se l'amore è questo...
LUI Ma se I'amore è questo...
L’UOMO (rispuntando dallo schienale con tutto il busto)
Ma se I'amore è questo
Vuol dire che starò desto
Ad aspettare il mattin!
LUI Ma, scusi, chi d lei? [1]
Che cosa significa abitare un luogo?
Semplicemente vuol dire entrarne in possesso, viverlo appieno. Così un oggetto scontato e banale come una panchina, in realtà, può insegnarci a riprendere questo concetto, ormai dimenticato e rimpiazzato dai ritmi frenetici delle nostre vite quotidiane. Quando ci sediamo su una panchina, inevitabilmente ci immergiamo nell’ambiente circostante, ne diventiamo parte. In quel momento entriamo davvero in possesso della realtà e del mondo, da cui prima eravamo solo passivi osservatori. Gratuitamente, le panchine, ci insegnano il valore del tempo, ci permettono paradossalmente di perderlo, e così di guadagnarlo ristabilendo un contatto con noi stessi attraverso quella che oggi è considerata un’anomalia sociale; il puro piacere del riposo e dell’ozio. Su una panchina attiviamo la modalità riflessione, riscopriamo il silenzio, attuiamo il raccoglimento ed elogiamo la lentezza mettendoci le vesti di una talpa che “perfora, scava, scalza di sottoterra” per “avanzare lentamente, cautamente, delicatamente”. Le panchine ci consentono di osservare e contemplare un paesaggio ed è attraverso questa contemplazione che ne entriamo effettivamente in possesso, che iniziamo ad abitarlo. Noi ci specchiamo nel paesaggio circostante e lui si specchia in noi, e così cominciamo a conoscerci meglio.
Confortevoli e accoglienti, le panchine ci avvolgono e ci guidano in questo percorso, donandoci il privilegio di osservare senza essere osservati. Una panchina perfetta è come una piega del mondo, non un luogo nascosto ma una zona franca, liberata o salvata, dove semplicemente sedersi è già in sé una meditazione[2], ma allo stesso tempo diventa un luogo di scambio, comunione e condivisione. Realizzare panchine d’artista significa riappropriarci del nostro tempo, per osservare un paesaggio da un punto di vista che spesso diamo per scontato ma dotato in realtà di un immenso valore spirituale con il quale occorre tornare in contatto. L’arte contemporanea si fa portatrice della poeticità, della gratuità e dell’umanità delle panchine. D’altronde l’arte porta da sempre l’attenzione sulle soglie, che la panchina incarna molto bene. Il bisogno dell’opera di uscire dallo spazio dei musei si incontra spontaneamente con le panchine, che prestandosi a diventare opere d’arte ci permettono di contemplare a nostra volta la più grande opera d’arte: il mondo.
[1] Italo Calvino, La panchina in RR3, pp. 660-61
[2] Beppe Sebaste | Panchine Edizione - Laterza, 2018